La malattia di Parkinson può essere riconosciuta precocemente ed arginata. Da poco la ricerca ha evidenziato come il processo degenerativo (la morte) delle cellule del cervello che provocano il Parkinson inizia molti anni prima della comparsa dei tipici sintomi che la caratterizzano.
Lo sforzo medico e scientifico deve essere indirizzato verso una diagnosi prima della comparsa dei sintomi. In questo modo si può provare ad arginare il progredire della malattia.
E’ fondamentale anche una sensibilizzazione dei medici di famiglia che possono cogliere aspetti precoci per indirizzare il paziente verso la diagnosi. Così come una sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questo tema.
Cos’è la malattia di Parkinson
Si chiama così dal nome del suo scopritore, James Parkinson. Il medico inglese nel 1817 osservando pazienti affetti da tremore, definì la sindrome della “paralisi agitante”. Il termine “malattia di Parkinson” venne utilizzato ufficialmente a partire dal 1877.
Molto più tardi, nel 2000, lo scienziato svedese Arvid Carlsson vinse il premio Nobel per aver individuato nell’amminoacido levodopa la cura dei sintomi.
E’ una malattia neurodegenerativa. Lo specialista di riferimento è il neurologo.
Sappiamo che il Parkinson è dovuto alla degenerazione di una piccola zona del cervello chiamata substantia nigra o sostanza nera.
Qui sono contenuti i neuroni che producono la dopamina. Neurotrasmettitore chimico fondamentale per la corretta esecuzione del movimento. Quando la produzione della dopamina si riduce, si manifestano i sintomi tipici: il tremore, la rigidità e la bradicinesia (lentezza del movimento).
E’ stato dimostrato che i sintomi classici come il tremore e la rigidità iniziano a manifestarsi quando sono andati perduti circa il 50-60% dei neuroni che producono dopamina.
Quante persone colpisce?
La malattia di Parkinson colpisce circa il 3 per mille della popolazione generale e circa l’1% di quella sopra i 65 anni. In Italia i malati di Parkinson sono circa 300.000. Per lo più maschi (1,5 volte in più). Con età d’esordio compresa fra i 59 e i 62 anni.
La malattia di Parkinson è la seconda tra le patologie neurodegenerative dopo l’Alzheimer.
L’immagine che la malattia riguardi solo le persone anziane non corrisponde più alla realtà. L’età d’esordio del Parkinson si fa, infatti, sempre più giovane (un paziente su 4 ha meno di 50 anni, il 10% ha meno di 40 anni). Questo grazie al fatto che la medicina è oggi in grado di porre una diagnosi ai primi sintomi.
Quando la malattia è ancora in fase precocissima. Inoltre, si ipotizza che mediamente, rispetto al momento della prima diagnosi, l’inizio del danno cerebrale sia da retrodatare di almeno 6-10 anni. Quindi, l’immagine che la malattia riguardi solo le persone anziane non corrisponde più alla realtà.
Cause della malattia
Le ultime ipotesi sulle cause della malattia fanno incontrare una predisposizione genetica con fattori ambientali.
Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’esposizione a fattori quali pesticidi e metalli pesanti aumenta il rischio di sviluppare la malattia.
Questi agirebbero in persone con una predisposizione genetica.
Nel 20% dei pazienti con precedenti di Parkinson in famiglia un gene difettoso è stato, infatti, identificato.
E’ un gene che produce una proteina con funzioni di spazzino all’interno della cellula. Questa proteina elimina sostanze tossiche dall’interno delle cellule del cervello.
Se questo sistema si inceppa o funziona male, come sembra succedere nel Parkinson, le sostanze tossiche possono accumularsi. Bloccando il corretto funzionamento dei neuroni che producono dopamina. Una delle più importanti sostanze tossica che si accumula nella malattia di Parkinson si chiama alfa-sinucleina.
I segnali precoci del Parkinson
Ci sono dei piccoli segnali che si manifestano anche molti anni prima della comparsa della malattia. Spesso è difficile accorgersene, anche i medici tendono a non dare il giusto peso a questi fenomeni. Sono segni che dovrebbero far preoccupare le persone e spingerle ad effettuare un controllo neurologico il prima possibile.
Perdita del senso dell’olfatto
La perdita dell’olfatto è una delle prime avvisaglie dello sviluppo del Parkinson. Spesso non cercato o sottovalutato. I pazienti dicono che erano a una festa e tutti notavano quanto fosse forte il profumo di una donna, mentre loro non sentivano l’odore.
Insieme con la perdita dell’olfatto ci potrebbe essere la perdita del gusto, perché i due sensi si sovrappongono. I pazienti notano che i loro cibi preferiti non hanno più sapore.
La dopamina è un messaggero chimico che trasporta i segnali tra il cervello, i muscoli e i nervi in tutto il corpo. Non appena le cellule che producono dopamina muoiono, l’olfatto viene compromesso. Alcuni ricercatori ritengono questo cambiamento così importante, che stanno lavorando per sviluppare un test di screening per la funzione olfattiva.
Disturbi del sonno
Molto importante è un disturbo del sonno noto come: disturbo comportamentale nel sonno REM (RBD – REM Behaviour Disorders).
Il disturbo è caratterizzato da fenomeni comportamentali e motori. Questi vanno dal semplice parlare, ridere, lamentarsi, urlare, fino a violenti movimenti degli arti.
Può rappresentare pertanto, un pericolo per se stessi o per il compagno/a di letto. Sono noti, infatti casi in cui il soggetto sferra pugni e calci, balza dal letto e afferra violentemente il partner.
In genere il comportamento riflette un sogno o meglio rappresenta la recitazione del sogno. Spesso quando i soggetti vengono svegliati riferiscono ricordi vividi e minacciosi relativi a situazioni vissute durante il sogno. In conseguenza delle quali sono stati messi in atto comportamenti difensivi.
Queste reazioni avvengono durante il sonno REM, la fase del sonno più profondo.
Circa il 40 per cento di persone con disturbo comportamentale nel sonno REM possono sviluppare il Parkinson addirittura dieci anni più tardi. Pertanto questo è un segnale che vale la pena di prendere sul serio.
Altri due problemi di sonno che sono comunemente associati con il morbo di Parkinson, sono:
- la sindrome delle gambe senza riposo (un formicolio alle gambe e la sensazione di doverle muovere)
- l’apnea del sonno (l’improvviso arresto momentaneo della respirazione durante il sonno)
Non tutti i pazienti con questi problemi hanno il Parkinson, naturalmente, ma un numero significativo di malati di Parkinson – fino al 40 per cento in caso di apnea nel sonno – hanno questi sintomi. Così possiamo considerarli degli importanti segnali premonitori.
Stipsi e altri problemi intestinali e della vescica
Uno dei più comuni segni precoci di Parkinson è la stitichezza e il gas intestinale. Il sintomo è spesso trascurato poiché ci sono molte altre possibili cause.
Questo perché il Parkinson può influenzare il sistema nervoso autonomo, che regola l’attività dei muscoli lisci come quelli che lavorano nelle viscere e della vescica. Questi diventando meno sensibili ed efficienti, rallentano l’intero processo digestivo.
Un modo per riconoscere la differenza tra stipsi ordinaria e la stitichezza causata dal morbo di Parkinson è che quest’ultima è spesso accompagnata da una sensazione di pienezza. Anche dopo aver mangiato molto poco e può durare per un lungo periodo di tempo.
Quando anche il tratto urinario è influenzato, alcune persone hanno difficoltà a urinare, mentre altri iniziano ad avere episodi di incontinenza. I farmaci usati per curare il Parkinson sono efficaci per questi sintomi.
La mancanza di espressione facciale
La perdita di dopamina può interessare i muscoli facciali, rendendoli rigidi e lenti, causando la conseguente caratteristica mancanza di espressione. Alcune persone si riferiscono ad essa come “faccia di pietra” o “Poker Face”.
Ma è davvero più come un appiattimento, il volto non esprime le emozioni e i sentimenti della persona. Il termine “maschera di Parkinson” è usato per descrivere la forma estrema di questa condizione, ma si manifesta solo in stadi avanzati della malattia.
Come tutti i sintomi precoci, i cambiamenti sono lievi. E’ più facile riconoscerli da una lentezza nel sorridere, nell’aggrottare le sopracciglia. Oppure nel guardare in lontananza. Un altro segno meno frequente è l’ammiccare.
Dolore al collo persistente
Questo segno è particolarmente comune nelle donne. Il dolore al collo causato dal Parkinson è diverso da quello comune. Principalmente per il fatto che persiste, a differenza di uno stiramento o di crampi, che dovrebbe andare via dopo un giorno o due.
In alcune persone, questo sintomo si presenta non tanto come dolore, quanto come un intorpidimento o un formicolio. Oppure potrebbe manifestarsi come un malessere o un disagio che arriva fino alla spalla e al braccio e porta a frequenti tentativi di allungare il collo.
Scrittura lenta e stretta
Uno dei sintomi di Parkinson, noto come bradicinesia, è il rallentamento e la perdita di movimenti spontanei e di routine.
Il rallentamento della scrittura è uno dei modi più comuni in cui la bradicinesia si presenta. La scrittura comincia a diventare più lenta e faticosa, e sembra spesso più piccola e più stretta di prima. A volte un membro della famiglia noterà che la grafia del malato sta diventando molto filiforme e difficile da leggere.
Lavarsi e vestirsi sono altre aree in cui appare la bradicinesia. Spesso infilarsi i vestiti, abbottonarsi o essere in grado di chiudere le cerniere richiede molto tempo.
Cambiamenti del tono della voce e della parola
La voce di una persona malata di Parkinson comincia a cambiare, diventando spesso molto più flebile e monotona. Questo è spesso uno dei segni precoci che dovrebbero allarmare la famiglia e gli amici. Molto prima che il paziente venga a sapere di essere malato.
Anche pronunciare male le parole è una caratteristica della malattia, perché, irrigidendosi i muscoli facciali, diventa più difficile enunciarle chiaramente. Alcuni pazienti iniziano ad avere problemi ad aprire bene la bocca, rendendo quanto viene detto più difficile da capire.
Questo problema è così caratteristico della malattia che i ricercatori stanno lavorando su una tecnica di analisi della voce che potrebbe eventualmente essere utilizzata per uno screening precoce e come strumento diagnostico.
Braccia che non oscillano liberamente
Può essere descritto come un ridotto movimento del braccio. Pensate a questo come a una rigidità di movimento. Per raggiungere un vaso sullo scaffale più alto o per giocare a tennis noterete che il braccio non si estenderà più di tanto.
Con l’inizio della malattia di Parkinson, la gente comincia ad avere un aumento del tono muscolare. Significa che i muscoli sono più rigidi e limitati.
Il braccio non va dove il cervello gli dice di andare. In alcune persone questo si nota quando camminano, un braccio oscillerà meno rispetto all’altro. Un modo per distinguere questo sintomo dall’artrite o da lesioni è che le articolazioni non sono coinvolte e non c’è dolore.
Eccessiva sudorazione
Quando il Parkinson colpisce il sistema nervoso autonomo, lede la capacità di autoregolamentarsi del corpo. Causando dei cambiamenti della pelle e delle ghiandole sudoripare.
Alcune persone si trovano a sudare in modo incontrollabile quando non c’è alcuna ragione apparente, come il calore o l’ansia. Per una donna, questi attacchi possono essere molto simili alle vampate di calore della menopausa. Il termine ufficiale per questo sintomo è iperidrosi.
Questa condizione può anche presentarsi sotto forma di pelle eccessivamente grassa o di cuoio capelluto con conseguente forfora grassa. Molti malati hanno anche un problema di salivazione in eccesso. Ma questo è effettivamente causato da difficoltà di deglutizione, piuttosto che da una produzione di più saliva.
Cambiamenti di umore e di personalità
Ci sono una serie di cambiamenti di personalità correlati con il Parkinson. Come il manifestarsi di ansia nelle situazioni nuove, il ritiro sociale, e la depressione.
Diversi studi dimostrano che la depressione, in chi non l’aveva precedentemente sperimentata, è stato il primo segnale che molti malati e le loro famiglie avevano notato. Ma non erano stati in grado di attribuirla al Parkinson.
Alcune persone sperimentano anche dei mutamenti nelle loro abilità di pensiero. In particolare la concentrazione e le cosiddette “funzioni esecutive” che governano la progettazione e l’esecuzione di attività.
Il primo segno di declino è la perdita della capacità di fare diverse cose insieme. Le persone che erano in grado di fare perfettamente tre o quattro attività nello stesso tempo, scoprono di dover fare una cosa alla volta o non riescono a fare tutto per bene.
Alcuni esperti ritengono che i problemi di pensiero e le questioni d’umore vadano di pari passo perché il senso di difficoltà mentale porta con sé ansia, il sentirsi sopraffatti e la chiusura sociale.
I sintomi tipici
Quando compaiono i sintomi tipici della malattia di Parkinson sono ormai andati perduti circa il 50-60% dei neuroni che producono dopamina.
Il Parkinson coincide, nell’immaginario collettivo, con il tremore che colpisce soprattutto una mano del paziente. Il tremore non è invece più il sintomo più significativo, anche se rimane fra i più appariscenti. Il 30% dei pazienti, infatti, non ha questo problema.
Il sintomo più frequente è la lentezza dei movimenti (bradicinesia). Altro sintomo caratteristico è la rigidità muscolare. Viene vissuto dal paziente come una sorta di rigidità o resistenza di un arto- braccio e/o gamba- al movimento passivo, quando questo è rilassato.
L’instabilità posturale (più tipica delle fasi avanzate). Soffrire di Parkinson significa, però, avere anche dolore (presente nel 46% dei casi). Problemi motori generali con perdita della stabilità, fino a subire frequenti cadute.
La malattia di solito inizia da un lato solo, con disturbi lievi e limitati agli arti. Progredisce lentamente nella maggior parte dei casi. La demenza compare nella fase avanzata e può riguardare il 20-25% dei parkinsoniani.
Fare la diagnosi il prima possibile
L’obiettivo è quello di fare una diagnosi il più precoce possibile. Prima della comparsa dei sintomi classici. Se possibile subito dopo la comparsa dei sintomi precoci. Ricordiamo che il processo che porta alla manifestazione dei sintomi classici impiega anche molti anni.
Prima dei 40 anni. Verso i 45-50 già possono esserci della manifestazioni iniziali descritte in precedenza, che vanno identificate. Al minimo sospetto è necessario rivolgersi al neurologo che avvierà tutte gli esami necessari per confermare il sospetto od escluderlo.
Se si fa una diagnosi precoce prima che la maggior parte dei neuroni che producono dopamina muoiono si può avviare una terapia che rallenta e allontana le manifestazioni cliniche più gravi della malattia.
Ci sono dei fattori protettivi?
Il consumo di caffè proteggerebbe dalla malattia di Parkinson. Uno studio su 8004 soggetti seguiti per oltre 30 anni ha scoperto che chi non beveva caffè aveva un rischio 5 volte più elevato rispetto ai soggetti che bevevano una grande quantità di caffè al giorno.
Meno chiara la relazione con il fumo. Non è infatti ancora certo se sia il fumo a proteggere in quanto tale. Oppure se i soggetti inclini a sviluppare la malattia di Parkinson tendano, per qualche ragione ancora non nota, ad evitare il fumo.
La terapia del Parkinson
Le cure si basano essenzialmente su farmaci che hanno la capacità di bloccare i sintomi del Parkinson. Questi farmaci perdono di efficacia man mano che la malattia si aggrava. Oppure danno problemi psichici (confusione, allucinazioni). Fino ad oggi, quindi, la malattia è stata combattuta solo a livello dei sintomi, non nella sua progressione.
I farmaci dopaminergici (levodopa, dopamina-agonisti) si sono rivelati molto efficaci per far mantenere ai malati una buona qualità di vita per 7-10 anni. Mentre nella fase avanzata, al momento, si deve ricorrere a terapie con un certo grado di invasività.
Alcuni recenti studi con farmaci antiossidanti e neuroprotettivi fanno però ritenere possibile che si possa trattare la malattia non solo contrastandone i sintomi ma anche rallentandone il decorso.
Quando bisogna iniziare le terapie?
Il prima possibile, nelle fasi iniziali della malattia. Il vantaggio consiste nella miglior qualità di vita dei pazienti trattati al comparire dei primi sintomi motori, rispetto ai pazienti curati tardivamente.
Sappiamo che i sintomi del Parkinson sono scatenati dalla riduzione della produzione cerebrale del neurotrasmettitore dopamina e che tale problema cresce con il progredire della malattia.
Una delle nuove frontiere della terapia del Parkinson sta proprio nel cercare di far fronte non solo ai sintomi invalidanti quale tremore e rigidità motorie.
Ma di proteggere le cellule cerebrali dalla progressiva degenerazione che porta, alla fine, anche alla demenza.
Attualmente sono in corso diversi studi sperimentali con farmaci che in laboratorio hanno dimostrato di proteggere le cellule nervose dai danni della malattia. Con questa strategia farmacologia innovativa, detta neuroprotezione, ci sono buone possibilità di sperare ad un futuro in cui si possa frenare il decorso della malattia.
Una tempestiva terapia a base di farmaci dopaminergici e di farmaci neuroprotettivi può rallentare di molto la progressione della malattia.
La terapia fisica
Un corretto approccio alla gestione della malattia di Parkinson non può prescindere da una presa in carico globale dei pazienti. Che preveda anche una specifica attenzione verso i sintomi non-motori della malattia e faccia ricorso a interventi di carattere riabilitativo.
Recenti studi hanno concluso che la terapia fisica può migliorare le capacità funzionali dei pazienti, anche se con benefici limitati nel tempo.
Il futuro
Il futuro è in parte è già presente, si basa su esami e valutazioni che sono in grado di evidenziare il danno delle cellule del cervello il prima possibile.
Gli studi si sono concentrati nell’individuazione dei cosiddetti biomarker. Molecole rilevabili attraverso esami del sangue, del liquido cerebro-spinale, della saliva. In grado di dirci se la malattia è già iniziata oppure no.
Si potrà a brevissimo studiare l’andamento dell’alfa-sinucleina attraverso la saliva della bocca. Questa molecola già si poteva studiare, ma solo analizzando il liquido cefalorachidiano, ottenuto attraverso una puntura lombare. Misurare le concentrazioni di alfa-sinucleina e delle sue componenti nella saliva è un grande passo avanti rispetto alle misurazioni invasive, dolorose, poco ripetibili necessarie finora.
Questa è una scoperta tutta italiana. Effettuata dai neurologi della Sapienza di Roma, diretti da Alfredo Berardelli.