Infarto quando il cuore va in tilt

Infarto: quando il cuore va in tilt

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Studio medico Anguissola, via Sofonisba Anguissola 25/1, Milano. A due passi dalla fermata Bande nere della linea rossa. 

Il termine infarto miocardico acuto (IMA) indica la morte di una parte più o meno grande di cellule muscolari del cuore provocata da una ischemia prolungata.

L’ischemia è un’inadeguato apporto di sangue e quindi ossigeno alle cellule, che per tale motivo vanno incontro a morte. La riduzione dell’apporto di sangue si verifica a causa dell’occlusione di una delle arterie che portano sangue al cuore.

Arterie del cuore o coronarie

Sono arterie di piccolo calibro che irrorano tutto il muscolo cardiaco e portano ossigeno e nutrimento alle cellule del cuore. Grazie a nutrimento ed ossigeno adeguati, le cellule del cuore possono vivere e lavorare.

Il loro lavoro è la contrazione (sono cellule muscolari). Le cellule muscolari del cuore contraendosi pompano il sangue a tutte gli organi e tessuti del nostro organismo.

In determinate condizioni il bisogno di ossigeno da parte delle cellule del cuore aumenta. Come nel caso di uno sforzo o di un esercizio fisico.

Quando questa funzione viene meno si parla di scompenso cardiaco o insufficienza cardiaca.

Infarto del miocardio: condizione molto frequente

L’infarto acuto del miocardio è uno dei problemi più importanti di salute pubblica. Si calcola che è causa di morte per circa 550.000 persone ogni anno negli Stati Uniti.

In Italia, sono circa un milione le persone affette da cardiopatia ischemica. Ogni anno si verificano circa 110.00 nuovi casi di infarto. Le morti causate da infarto sono circa 80.000 in un anno.

Fino a 60 anni i maschi vengono colpiti dall’infarto da 2 a 4 volte più delle donne. Tale situazione si modifica quando la donna è già in menopausa. Dalla menopausa in avanti i maschi vengono colpiti poco di più delle donne. 

Come si forma un infarto

La causa principale di un infarto è rappresentata dalla aterosclerosi delle arterie coronarie.

Lungo il corso delle arterie coronarie si forma la placca dell’aterosclerosi chiamata ateroma.

L’ateroma è dovuto all’accumulo sulla superficie interna della parete vascolare di un grumo costituito da tessuto fibroso, lipidi e cellule infiammatorie. I lipidi sono colesterolo e suoi esteri.

Particolari particelle di grasso circolanti dette lipoproteine a bassa densità (LDL) vengono ossidate (danneggiate) e inglobate dai macrofagi. Questo fenomeno porta ad una risposta infiammatoria cronica con liberazione di citochine. Si accumulano progressivamente macrofagi infarciti di lipoproteine e altre cellule infiammatorie.

Il processo infiammatorio della placca in via di formazione libera fattori di crescita. Questi inducono la proliferazione delle cellule muscolari e la deposizione di componenti del tessuto connettivo.

Si arriva alla formazione di un cappello fibroso di tessuto connettivo denso che ricopre la parte centrale costituita da lipidi la placca ateromatosa o ateroma. Questa si ingrossa lentamente con il passare degli anni.

Produce una progressiva riduzione del calibro dell’arteria. La riduzione del calibro prende il nome di stenosi.

Formazione del trombo

La placca può fessurarsi e rompersi, in questo caso si attivavano piastrine e fattori della coagulazione. Si forma un substrato per una trombosi.

Una volta formato il trombo sulla placca ateromatica, questo o parte di questo si può staccare andando ad occludere le arterie più piccole a valle.

Questi processi determinano una progressiva occlusione ed un irrigidimento delle arterie coronariche.

Il frammento di placca che si è staccato dall’ateroma occlude l’arteria coronarica e provoca l’ischemia. Cioè a valle dell’arteria non arriva più sangue con l’ossigeno e i suoi nutrimenti.

Questo fenomeno provoca la morte delle cellule del cuore che non possono più respirare e nutrirsi.

Il trombo si può formare in altre arterie e arrivare poi alle coronarie del cuore trasportato dalla corrente sanguigna.

Quando non arriva più sangue alle cellule del cuore queste muoiono. Si dice che vanno in contro a necrosi. Questa fase dura all’incirca 48h.

E’ il momento più pericoloso perché in alcuni casi, dopo l’occlusione si ha una riapertura dell’arteria coronarica che può dare origine a delle alterazioni del ritmo cardiaco (aritmie).

A seconda della grandezza della arteria coronaria colpita dall’occlusione si ha la morte di zone più o meno grandi di tessuto muscolare cardiaco.

Ovviamente maggiore è il numero di cellule cardiache che vanno incontro a morte maggiore è il danno per il cuore e il rischio di morte.

Cardiopatia ischemica

La cardiopatia ischemica è dovuta alla presenza di arterie coronariche parzialmente occluse che hanno già causato piccoli infarti. Oppure che danno brevi e transitorie occlusioni determinando quella che viene definita angina.

L’angina pectoris è un sintomo caratterizzato da dolore in regione retrosternale. Talora irradiato al braccio sx. Spesso associato a respiro corto, vertigini, palpitazioni, debolezza.

Può verificarsi in coincidenza di:


  • sforzi fisici
  • ambiente freddo
  • camminare dopo un pasto abbondante
  • crisi ipertensiva
  • paura, rabbia, stati d’ansia, tensione emotiva
  • rapporti sessuali
  • grave anemia
  • febbre e brividi
  • ipoglicemia

Queste condizioni possono determinare un vasospasmo coronarico, cioè una contrattura delle fibre muscolari cardiache che chiude velocemente l’arteria coronarica.

Inoltre molte delle condizioni descritte determinano una maggior richiesta di ossigeno da parte delle cellule cardiache.

Infarto: fattori di rischio

L’infarto e la cardiopatia ischemica sono strettamente correlati con numerosi fattori di rischio.

Fattori predisponenti non influenzabili:


  • familiarità: la presenza in famiglia di parenti (soprattutto genitori) che hanno avuto infarti aumenta il rischio di presentare questa condizione
  • età
  • sesso maschile

Fattori di rischio maggiori modificabili (che potrebbero in parte essere prevenuti):


Fattori di rischio minori:


  • aumento dell’omocisteina
  • anticorpi antifosfolipidi
  • pillola anticoncezionale se associata al fumo
  • Scarse condizioni socio economiche
  • Abuso di sostanze stupefacenti (per esempio cocaina)

Sintomi

Il sintomo principale di un infarto acuto del miocardio è il dolore toracico.

E’ presente nell’85% dei casi.

Il dolore è tipicamente riferito nella regione dietro allo sterno, cioè al centro del torace. 

Può però interessare tutta l’area toracica, irradiarsi al collo, mandibola, arto superiore di sinistra e alle spalle.

Nel caso di infarto miocardico di tipo inferiore (o «diaframmatico») il dolore insorge allo stomaco e può essere confuso con un dolore all’addome o allo stomaco.

E’ un dolore oppressivo, costrittivo, urente o soffocante. Variabile da lieve a severo non si modifica con gli atti respiratori e la variazione della posizione.

Può durare da 15 a 30 minuti e anche di più.

Spesso è accompagnato da:


  • irrequietezza
  • sudorazione
  • nausea
  • vomito

In 1/3 dei pazienti si presentano di segni di insufficienza cardiaca o di scompenso.

Il soggetto lamenta difficoltà a respirare. Nei pazienti più anziani possono presentarsi segni di ipossia cerebrale associati a disorientamento e confusione mentale.

L’infarto se piccolo può anche essere senza sintomi. Non ci si accorge dell’infarto.

Diagnosi

Elettrocardiogramma

L’ECG nelle prime 24 ore dopo un infarto può essere completamente silente. Esso comunque contribuisce a fornire indicazioni sulla sede e l’estensione dell’infarto.

Ecocardiogramma

Permette di definire con buona precisione la sede dell’infarto. Non la sua reale estensione perché registra la capacità di contrazione del tessuto cardiaco ed in questo caso sia il tessuto morto che quello sano nelle immediate vicinanze, possono contrarsi irregolarmente.

Esami del sangue

La presenza di alcune proteine rilasciate nel sangue dalle cellule del cuore danneggiati dall’ischemia possono confermare la presenza di infarto miocardico.

Le più utilizzate nei laboratori di analisi sono la mioglobina, la troponina, la creatina-fosfo-chinasi o CPK, la Creatinchinasi MB o CK-MB e la L-lattato deidrogenasi o LDH.

Questi marcatori biochimici rilasciati in seguito alla morte delle cellule del cuore, si riversano in grosse quantità nel sangue dove possono essere misurati i livelli.

Diagnosi precoce

Appena vi è il sospetto di un infarto acuto del miocardio bisogna recarsi immediatamente in ospedale.

Ogni sintomo che indichi l’inizio di un infarto impone la consultazione di un medico nel più breve tempo possibile.

E’ consigliabile chiamare prontamente un’ambulanza con personale medico a bordo per raggiungere velocemente il pronto soccorso dell’ospedale più vicino. Spesso si possono avviare già delle terapia ed effettuare il primo elettrocardiogramma durante il tragitto in presenza di personale specializzato.

Potremmo dire che se si è in grado di riconoscere i sintomi dell’angina e dell’infarto, avremo una possibilità in più di salvare la vita a se stessi e agli altri.

Se invece non li dovessimo nemmeno sospettare, ma li confondessimo con un’indigestione, un dolore osseo o simili, il trattamento dell’infarto arriverebbe troppo tardi. Con conseguenze anche mortali.

Complicanze

Come già accennato nelle prime 48 ore vi è un’alta probabilità di aritmie da riperfusione.

In caso di infarti che uccidono una grossa parte delle cellule del cuore (oltre il 40%) si troviamo di fronte ad una insufficienza cardiaca che può evolvere in edema polmonare acuto.

In caso di shock cardiogeno vi è un tasso di mortalità dell’80-90%.

Altra temibile complicanza è la rottura della parete laterale del cuore, che porta alla morte in pochi secondi.

Frammenti del trombo coronarico possono arrivare nelle vene profonde, in rari casi arrivare al polmone determinando una embolia polmonare.

Terapia

Trattamento farmacologico

Prima di arrivare in ospedale si può interviene:


  1. sulla sedazione del dolore con la morfina
  2. sul controllo dei valori di pressione
  3. con l’ossigeno

In ospedale è fondamentale riaprire il vaso nel più breve tempo possibile.

Si usano farmaci che sciolgono i trombi oppure l’angioplastica, se vi è un servizio di emodinamica vicino all’ospedale che fa il ricovero.

La terapia comprende inoltre farmaci per la prevenzione di nuove trombosi.

Cardiologia interventistica

Il 15 settembre 1977 Andreas Roland Grüntzig, per la prima volta nella storia della cardiologia, dilatò una stenosi di un’arteria coronarica per via percutanea, inserendo un catetere a palloncino dall’arteria femorale.

Quello fu il giorno della nascita di una nuova branca dell’emodinamica: la cardiologia interventistica.

Questo intervento si chiama angioplastica coronarica. Può essere fatto con o senza il posizionamento di stent.

E’ la terapia di prima scelta nel trattamento dell’infarto acuto del miocardio

Lo stent è una struttura metallica cilindrica a maglie che viene introdotta negli organi a lume. Cioè gli organi cavi propriamente detti o visceri, come l’intestino, oppure i vasi sanguigni. Viene poi fatto espandere fino a che il suo diametro è pari a quello del lume. In questo modo si può ridurre una stenosi delle arterie coronarie.

Trattamento chirurgico o bypass aorto-coronarico

Qualora la terapia medica associata o meno all’angioplastica abbia fallito si può eseguire il bypass aorto-coronarico.

Chirurgicamente si rivascolarizza la coronaria responsabile dell’infarto a valle dell’ostruzione. Così da interrompere l’ischemia, contenere l’area di necrosi, migliorare la funzione di pompa del miocardio colpito e aumentare la sopravvivenza.

È indicato in pazienti con controindicazioni alla trombolisi e all’angioplastica e con anatomia più favorevole alla chirurgia. Altra indicazione è lo shock.

Dopo l’infarto

Dopo il ricovero e la cura dell’infarto vengono previste dai medici una serie di controlli e valutazioni periodiche sullo stato del paziente. Un percorso ben preciso condiviso dalla comunità cardiologica internazionale.

Molto utili delle pubblicazioni che verranno consegnate a tutti gli infartuati al momento della dimissione.

Questo percorso prevede anche l’utilizzo della medicina riabilitativa. Strettamente raccomandata per i pazienti post-infartuati dopo stabilizzazione clinica.

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